A me accade la stessa cosa, ma oltre che scriverne, ho di abitudine, quando si tratta di compagni di scalata, di aprire qualche via, dando ad essa il loro nome.
In tutto ciò non c’è solo l’atto fisico, ma una componente emotiva che rende la cosa molto, molto particolare, interiore, viscerale…
Proprio in questi giorni, gli amici biellesi, Dafne Muraretto e Gianni Lanza, guida alpina, straordinari alpinisti e scalatori, hanno ripetuto la Placca Piotti alla Rocca di Perti.
Ho visto le foto e letto le loro impressioni: così mi è ritornato alla mente uno scritto di tanti anni fa.
Quella placca è dedicata a Mario Piotti, fortissimo e simpaticissimo, arrampicatore al quale ero legato da una particolare empatia.
Mario, nel fiore degli anni, morì cadendo da una paretina vicino Pisa. Un incidente banalissimo, ma fatale. Cercai disperatamente una parete per dedicargli una via, volevo rendere il suo nome “immortale”.
Non mi detti pace, sino a quando non vidi una bellissima placca verticale sul lato meridionale della Rocca di Perti. Ne parlai con Gianni Calcagno, suo intimissimo amico e compagno di cordata e la decisione fu presa.
Il 10 dicembre del 1981, dopo la solita lotta tra smilace e rovi, ci portammo alla base della parete. Con noi venne l’amico loanese Mauro Oliva.
Gianni andò da primo con grande cautela. Stranamente avanzava lentissimo, quindi il passaggio doveva essere ben duro.
“Com’è?” la mia solita stupida domanda soprattutto tesa a smorzare l’atmosfera che si era venuta a creare.
Mauro, silenzioso già per natura, non batteva ciglio.
Calcagninda “grugní”.
Lo scenario tornò cupo, carico di tensione. Solo il rumore del vento tra gli arbusti e qualche colpo di martello.
Dopo una eternità raggiunse un bel gradino e sostò. Attrezzò una sosta e ci fece salire.
Il tratto era problematico, piccole svasature per mani e piedi, roccia fredda e… corda ben tesa.